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Hervé Barmasse ascent of Numbur Peak wearing SCARPA's mountaineering boots

Hervé Barmasse qui in SCARPA® ormai è di casa e non ha bisogno di presentazioni. È un alpinista che incarna i valori dello stile alpino e del rispetto per la montagna, una Guida Alpina nata e cresciuta ai piedi del Cervino, ma pronto ad inseguire sogni e sfide sulle Alpi come in giro per le montagne del mondo. Hervé non cerca di vincere premi o collezionare record, ma piuttosto di vivere un’avventura vera. E quanto più ci si sente piccoli e fragili al cospetto delle grandi pareti del mondo, tanto più profonda e emozionante sarà l’esperienza umana.

 


Nell'autunno del 2025 Hervé è tornato in Nepal con Adam Bielecki e Felix Berg, per provare a salire la parete sud del Numbur Peak (6958mt), ovviamente in stile alpino. I tre hanno dovuto superare fin da subito diverse avversità: prima un malessere fisico di Bielecki proprio all’inizio delle difficoltà li ha fatti dubitare sul proseguire. Poi i sassi dall’alto, che hanno colpito Hervé ad un braccio, mentre la cordata si stava spostando verso una zona della parete più protetta dalle scariche, anche se più difficile da salire. Infine una notte eterna a 6900 metri, in quel bivacco d’emergenza che avrebbero poi battezzato con amara ironia "Nepali Ice SPA".

Senza tenda, senza sacchi a pelo, stretti l’un l’altro e protetti solo da un telo sottile contro raffiche a 60 km/h e un gelo di -25°C. Il giorno dopo erano in vetta. Hervé ci dice sempre che lo stile conta più della cima, così anche questa volta ci siamo fatti raccontare le emozioni che stanno dietro il successo alpinistico, come anche le riflessioni sul rischio e sulla sua accettazione.

 


Hervé, la vostra cordata ha dovuto superare molteplici imprevisti e difficoltà, ci è riuscita anche grazie ad una sintonia quasi magica. Come è successo?

“Gli obiettivi sono condivisi tra i partecipanti di una spedizione, questo è scontato. Se le relazioni funzionano, invece, lo scopri davvero solo quando inizi a trascorrere del tempo assieme. Ci sono cordate in cui la comunicazione scorre naturale, quasi senza parole e altre in cui serve più pazienza. Ma una spedizione ha tempi limitati, e quando — come nel caso del Numbur — una cordata nasce da poche telefonate, il rischio di non trovarsi in sintonia è reale. Credo che in montagna l’armonia nasca quando le persone sanno alternare leadership e ascolto senza bisogno di dichiararlo. Quando ognuno porta agli altri la miglior versione di sé stesso, rinunciando a qualcosa, come ad esempio all’ego, al bisogno di controllo e alla tentazione di dimostrare di essere il migliore. Ma la cosa più difficile, che in questo caso è anche l’esempio più efficace, è sempre questa: mettere il “noi” prima dell’“io”.”

 

Hai detto che l’alpinismo non è solo azione, ma anche riflessione. È questa una sensazione che si prova in spedizione oppure anche a casa?

“La spedizione, per sua natura, ti concede più tempo e più momenti per riflettere. Questo accade anche perché sei meno condizionato dalla tecnologia. Lo sappiamo, il telefono ci rende schiavi del superfluo, ma in spedizione, se sei fortunato, il telefono serve solo a scattare foto e registrare video. Niente connessione, niente distrazione. Inoltre, le giornate di maltempo ti regalano ore e ore per pensare, ascoltare te stesso e soprattutto i tuoi compagni. A casa, invece, siamo spesso risucchiati dall’azione continua: allenamenti, impegni, spostamenti…e il rischio è quello di diventare alpinisti “meccanici”, senza spazio per la profondità. Ogni tanto bisognerebbe “bivaccare” anche nella vita di tutti i giorni: fermarsi, lasciare spazio al silenzio, chiedersi perché facciamo ciò che facciamo. Senza questo esercizio, l’alpinismo rischia di diventare solo ginnastica.”

 

Nella parte finale della salita, per alcune ore, avevate zero margine, è andato tutto bene. Quanto senti che avete rischiato?

“Razionalmente non c’era margine d’errore. Se mi fosse scivolato un piede, avrei trascinato nel baratro anche i miei compagni. Interiormente, abituato all’alpinismo solitario e a quel terreno, ero a mio agio. Percepivo completa armonia e sintonia con la montagna, ma le percezioni non sono assolutamente una garanzia.”

 

 

SCARPA athlete Hervé Barmasse and his team ascending Numbur Peak in Nepal

 

 

Pensi che sia cambiata la tua accettazione del rischio negli anni?

Enzo Ferrari diceva che, per ogni figlio che nasceva, un pilota perdeva in media due decimi al giro: gli mancava il coraggio di spingere l’acceleratore fino in fondo. Per me non è stato così: ho due bambine, e il mio cuore — come la mia anima — continua a sentire il richiamo dell’avventura. È cambiato però il mio modo di “stare” nel rischio: oggi distinguo meglio i giorni in cui vale la pena spingersi oltre, da quelli in cui tornare sui propri passi è la scelta più giusta.”

 

C’è qualche rischio nella tua carriera che tornando indietro non correresti un’altra volta?

“Un giorno, per delle riprese di un film, Antonia, in cui recitavo la parte della sua guida alpina (Emilio Comici), ho scalato in salita e in discesa senza nessun tipo di sicura il primo tiro (6b) di una via in Grignetta: Fantasma della Libertà. Ero vestito come negli anni 20 e calzavo un paio di scarponcini simile a quelli che si usavano allora. Purtroppo per me non c’era modo di usare una corda di sicurezza, perché giravamo in pellicola e cancellarla in post-produzione sarebbe stato difficile. Non c’era nemmeno il modo di provare la via legato prima di realizzarla slegato. Quel giorno lo feci senza riflettere sulle disastrose conseguenze qualora mi fosse scivolato un piede o si fosse rotto un appiglio. Oggi mi comporterei con molta più attenzione.”

 

Il bivacco di emergenza è stata una prova di resilienza e sembra un passo avanti della tua consapevolezza personale. Il fuoco non si è ancora spento.

“È stato un momento duro, ma anche rivelatore. Ho percepito chiaramente quali sono i miei limiti nel gestire situazioni estreme, la stanchezza, il freddo, etc. Saperlo mi aiuterà nell’immaginare nuove sfide nei prossimi anni. Grazie al Numbur è come se ad un tratto mi accorgessi che, nonostante le salite e le avventure realizzate, possa davvero guardare a sfide che ad oggi non sono ancora state realizzate e immaginate.”

 

Stai già sognando la prossima avventura?

“Certo. Ancora non posso comunicare quale sarà la prossima meta, ma so quali sono le sensazioni che inseguo: la sorpresa, la scoperta, la sensazione di camminare in un mondo che non conosco, la possibilità di misurarmi con qualcosa di nuovo. Questo potrebbe avvenire sulle montagne di casa o altrove: oggi l’avventura, più che un luogo, è uno stato d’animo.”